mercoledì 1 luglio 2009

IRAN: COSÌ NOI STUDENTIABBIAMO PRESO IL POSTODEI GIORNALISTIARRESTATI

IRAN: COSÌ NOI STUDENTIABBIAMO PRESO IL POSTODEI GIORNALISTIARRESTATI

DAL REGIMEUna studentessa da Teheran racconta al nostro quotidiano come dopo la chiusura di molti giornali, la sistematica disinformazione della Tv di Stato, l'arresto di 180 redattori e cronisti (e l'espulsione di corrispondenti e inviati stranieri) è la gente – con telefonini e lentissimi e rischiosi collegamenti a internet - a diffondere le notizie al mondo sulla sanguinosa protesta in attoLa giornata tipo del contestatore in Iran? La mattina si fa informazione via telefono e con il lentissimo e filtratissimo internet (l'adsl non funziona più da tempo in tutto il Paese), il pomeriggio in strada con cartelloni e slogan e infine la sera a gridare "Allaho-Akbar/Dio è grande” dai tetti e dai terrazzi delle case.Questa è la vita a Teheran e nelle altre città iraniane dove dal 12 di giugno la protesta non dà segnali di cedimento.Hanno trasformato le nostre vite, viviamo in una situazione di crisi permanente. Le strade principali sono tutte vigilate dai Pasdaran e dai miliziani Basiji (squadracce di volontari al servizio del regime della Repubblica Islamica dell’Iran). Gli sms non funzionano dal giorno delle elezioni, quel venerdi in cui la situazione è precipitata e il corso normale della vita è cambiata.La Tv di stato trasmette menzogne e notizie create ad arte per giustificare l’operato del regime. Dà notizie che ormai nessun iraniano può più credere. La popolazione si sente presa in giro dalla televisione che guarda tutti i giorni: sì, forse lo sapeva già che comunque era pur sempre una Tv di Stato, ma non tollera più l’immensità delle bugie. Gli iraniani vogliono boicottare i prodotti pubblicizzati e si sono organizzati in gruppi sui social network Facebook e Twitter. Alcuni commentatori della televisione pubblica si sono già dimessi: sarebbe fantastico se lo facessero in tanti.La battaglia si fa coi cellulari: non possiamo telefonare e mandare sms, ma il nostro telefonino sa fare anche foto e filmati. Portare il telefono in manifestazione è diventato pericoloso, se ti vedono rischi l'arresto o di essere picchiato, lo facciamo di nascosto tra la folla e dalle finestre delle case. Rubiamo attimi di violenza e di coraggio.Torniamo a casa esausti e dopo molti tentativi riusciamo a connetterci e cerchiamo di caricare in rete le foto e i filmati della giornata in strada. Lo facciamo per documentare e informare ma anche perché il coraggio e il sacrificio dei nostri fratelli e sorelle non sia vano. Lo facciamo anche per gli iraniani che vivono all'estero e per il futuro dei nostri figli.Tutto il mondo deve sapere cosa stanno facendo ad una intera generazione di iraniani che avevano sperato in un cambiamento, sognavano la libertà quella vera dove puoi vestire, leggere, dire e agire come vuoi. Dopo tutto non vogliamo: tanto preferisco morire che vivere questa vita. Penso che la vita sia qualcosa altro che non ho ancora assaporato.Siamo tagliati dal mondo: hanno sequestrato i giornali riformisti come “Etemade Melli” il giornale di Mehdi Karrobi sconfitto nelle ultime elezioni, e hanno arrestato più di 180 giornalisti. Fino a qualche minuto fa non sapevo ancora come Neda facesse di cognome. Non siamo organizzati, non riusciamo a comunicare tra di noi neanche con i più primitivi mezzi di comunicazione. Devo chiedere ad amici all’estero di mandarmi pezzo per pezzo le notizie e i comunicati via chat (msn, yahoo e skype), devo lasciarli tutti aperti, forse ne funzionerà uno.Mi hanno detto che tanti cantanti iraniani all’estero hanno composto canzoni a nostro sostegno, mi hanno scritto che forse le ambasciate estere accolgono i feriti, mi hanno detto che forse da domani ci sarà lo sciopero generale che credevo durasse un giorno invece durerà a quanto pare tre giorni.Ci vogliono imbavagliare, renderci sordi e ciechi ma noi siamo un popolo di blogger, i nostri giornalisti migliori sono in prigione ma prendiamo noi il loro posto.Mandiamo post su Twitter sulle pagine di Tehran, Neda e Iran Election, il mondo saprà e cosi non rimarrà a guardare, ci darà sostegno e solidarietà.Cosa stanno pensando o dicendo su di noi nel mondo? Come interverranno i Paesi europei? Ci saranno notizie su quello che sta accadendo qui? Dove sono finiti i nostri leader riformisti? Dov'è Mir Hossein Mousavi? Dove sono Rafsanjani e Krroubi? Sono queste le domande che ci tormentano, che ci rivolgiamo l'uno con l'altro ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.(traduzione Katia Merlo)Fatemeh Karimi è lo pseudonimo di una studentessa di Teheran che partecipa agli scontri di piazza contro il governo, e che da oggi, collegandosi con la redazione del nostro quotidiano attraverso vari e complicati espedienti, cercherà di tenerci informati su quanto sta succedendo in Iran, e soprattutto su come la libertà di stampa, soppressa dal regime, è tenuta in vita dagli studenti, a rischio della vita, attraverso telefonini, lentissimi collegamenti a internet, social network, e corrispondenze clandestine come questa a media occidentali. La protesta iraniana passa dalle strade al web. Questi sono gli indirizzi dove si possono reperire foto e filmati e notizie.http://shooresh1917.blogspot.com/ - Blog molto aggiornato anche di filmatihttp://tehranbroadcast.com/ http://www.flickr.com/photos/fhashemi/sets/72157619758530748/show/ Con foto delle manifestazionihttp://femschool.info/english/http://tehranlive.org/2009/06/17/demonstration-and-protests-to-election-results-the-5th-day/#commentshttp://paulocoelhoblog.com/2009/06/22/iran-by-neda/http://www.facebook.com/mousavi http://twitter.com/PersianKiwi Notizie minuto per minutohttp://www.youtube.com/watch?v=x4ffhDxRHbM http://www.youtube.com/watch?v=TPwswYjjVY0http://www.youtube.com/watch?v=YwKVLwckDYwhttp://andrewsullivan.theatlantic.com/the_daily_dish/http://www.dissentmagazine.org/online.php?id=256 http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2009/jun/19/iran-election-mousavi-ahmadinejadhttp://www.bbc.co.uk/http://www.voanews.com/english/index.cfm I gruppi su Face Book- Elezioni in Iran: la Rivoluzione Verde!- Solidarietà degli studenti iraniani- I Love Teheran!- I Support Iranians Inside Iran- Note di Mir Hossein MousaviArticoli correlatiIran: La cronaca si fa in rete, impotente la censuraIran: continua la censura sui mezzi di informazioneIran: ancora manifestazioni nonostante la censura

domenica 28 giugno 2009

L'Apocalisse maschera del potere

L'Apocalisse maschera del potere
fonte Barbara Spinelli - La Stampa
Ci sono abitudini simili a bende sugli occhi, che impediscono di vedere. O simili a guinzagli, che accorciano il pensiero annodandolo al conformismo. Il nostro sguardo sull’Iran è prigioniero di queste bende e questi guinzagli, fin dai tempi dello Scià e poi anche dopo la rivoluzione di Khomeini. L’Iran lo identifichiamo ormai da trent’anni con il turbante, con il Corano, con la violenza in nome di Dio, con la religione che s’intreccia alla politica e l’inghiotte. Quando i suoi dirigenti si ergono contro il mondo esterno o contro il proprio popolo, subito tendiamo a scorgere la mano e la mente d’un clero retrogrado. Il suo establishment usiamo chiamarlo religioso, nell’élite sacerdotale ci ostiniamo a non vedere altro che integralismo. È dagli Anni 50 che le amministrazioni americane sbagliano politica in Persia, suscitando sistematicamente le soluzioni peggiori e trascinando negli errori anche l’Europa. Tanto più urgente è congedarsi da bende e guinzagli, e cominciare a guardare quel che veramente sta succedendo in Iran. Da quando si sono svolte le elezioni, il 12 giugno, sui tetti delle case si aggirano giovani assetati di libertà che gridano nella notte «Allah Akbar», Dio è grande, aggiungendo immediatamente dopo: «A morte il dittatore», proprio come nel 1979. Sono cittadini che di giorno hanno sfilato per strada contro i brogli elettorali: che hanno smesso la paura, e rischiano la vita parlando con frequenza di sacrificio di sé. Anche Mir Hossein Mousavi, il loro leader, annuncia che resisterà «fino al martirio». A Qom, che è una delle città sacre dell’Islam sciita ­ di qui partì la rivoluzione khomeinista ­ vive una classe sacerdotale che nella stragrande maggioranza avversa il presidente. Non più di tre, quattro ayatollah lo sostengono, anche se i loro uomini occupano i principali centri di potere (Pasdaran, servizi, giustizia). I massimi teologi del Seminario di Qom hanno scritto una lettera aperta, dopo il voto, in cui dichiarano i risultati «nulli e non avvenuti». Viene da Qom ed è figlio di un ayatollah il presidente del Parlamento Larjiani, ostile a Ahmadinejad. Si è rinchiuso a Qom il numero due dello Stato, l’ayatollah Rafsanjani, per verificare se sia possibile mettere in piedi una maggioranza di religiosi, nel Consiglio degli esperti che presiede, capace di destabilizzare e forse spodestare la Guida suprema, l’ayatollah Khamenei che ancora difende la legittimità di Ahmadinejad. Il Consiglio degli esperti nomina la Guida suprema a vita, ma può destituirla se essa non mostra saggezza. Sembra che Rafsanjani abbia già convinto 40 capi religiosi, sugli 86 che compongono il Consiglio. Nella città religiosa di Mashhad, molti sacerdoti musulmani hanno partecipato alle manifestazioni contro il regime. Non trascurabile è infine il simbolo della resistenza: verde è il colore dell’Islam. Questo significa che non siamo di fronte a una sollevazione contro lo Stato religioso. Per il momento, siamo di fronte a un’insurrezione fatta in nome dell’Islam contro un gruppo dirigente considerato blasfemo e nemico del clero. Ahmadinejad ha questo vizio blasfemo, agli occhi della maggioranza dei sacerdoti tradizionali e di grandissima parte della popolazione. In lui non si percepisce un leader integralista, ma un dittatore che ha motivazioni tutt’altro che religiose. Il suo potere è innanzitutto militare, e nel frattempo è anche divenuto economico. Le sue parole d’ordine sono improntate a un nazionalismo radicale, estraneo alla spiritualità. Il corrispondente della Frankfurter Allgemeine, Rainer Hermann, è un fine conoscitore del paese e parla di «svolta pakistana»: sotto la presidenza Ahmadinejad, negli ultimi quattro anni, avrebbe preso il potere un’élite che nella sostanza è laica, e che usa la religione non solo per abbattere ogni forma di democrazia ma per distruggere il clero tradizionale. L’uso della religione è sin da principio politico, in Ahmadinejad. Fedele alle dottrine apocalittiche dell’ayatollah Mesbah Yazdi, il presidente si dice convinto che l’era dell’ultimo Imam ­ il dodicesimo Imam messianico, il Mahdi occultato da Dio per oltre 1100 anni ­ stia per riaprirsi, con il ritorno del Mahdi. Tutte le apocalissi, anche quelle ebraiche e cristiane, sono rivelazioni che presuppongono tempi torbidi, in cui il male s’intensifica. Anche per la scuola Hakkani, che Yazdi dirige e cui appartengono gli Hezbollah iraniani, il male va massimizzato per produrre il Bene finale. L’ayatollah ha insegnato a Ahmadinejad l’uso del messianesimo a fini politici, non teologici. I politici messianici in genere parlano di Apocalisse non perché credono nella Rivelazione, ma perché nell’Apocalisse il dialogo con Dio è diretto (nell’Apocalisse di Giovanni scompaiono i templi) e il capopopolo non ha più bisogno del clero come intermediario. L’apocalisse serve a escludere il clero dalla politica e forse anche la religione. Il segno più evidente della svolta laico-pakistana di Ahmadinejad è la militarizzazione del regime. I guardiani della rivoluzione, i Pasdaran, dipendono da lui oltre che da Khamenei. E i picchiatori delle milizie Basiji non sono nati nel fervore religioso ma nel fervore della guerra di otto anni tra Iran e Iraq. I Basiji erano i bambini o i giovanissimi che in quella terribile guerra, tra il 1980 e il 1988, venivano gettati, inermi, nei campi minati dal nemico: perirono in migliaia. Secondo alcuni storici (tra cui lo specialista Hussein Hassan) Ahmadinejad fu il giovane istruttore di quei martiri forzati. Il suo disegno: rompere il singolare equilibrio di poteri tra sovranità popolare-democratica, sovranità religiosa e sovranità militarizzata che caratterizza l’Iran. Un equilibrio ripetutamente violato ma che rispecchia la storia del paese, sempre oscillante fra il costituzionalismo democratico affermatosi nel 1906 e la brama mai spenta di Stato assoluto. Il potere di Ahmadinejad e dei Guardiani è ormai più forte ­ anche presso i più poveri del paese ­ di quello dei Mullah, i sacerdoti che fecero la rivoluzione. Quel che è avvenuto sotto Ahmadinejad è una sorta di colpo di Stato modernista, che ha intronizzato l’élite formatasi nella guerra contro l’Iraq. È il potere di quest’élite che Ahmadinejad protegge, e esso non coincide con il potere religioso. Tra molti esempi si può citare la decisione di togliere al clero la gestione dei pellegrinaggi e di affidarla al ministero del Turismo: una misura che ha profondamente umiliato i religiosi. L’apocalisse è strumento di lotta molto terreno: nella conferenza stampa dopo le elezioni, Ahmadinejad ha ripetuto la formula d’obbligo che impone di parlare «in nome di Allah il Misericordioso», ma subito dopo ha rotto la tradizione invocando il dodicesimo Imam. Le milizie Basiji da qualche tempo si son tagliate la barba: è un altro segno di ribellione ai Mullah. Nella campagna elettorale, Mousavi si è presentato con il verde dell’Islam e del movimento riformatore. Ahmadinejad con la bandiera nazionale. È dunque il nazionalismo militarizzato, il regime che oggi vacilla e sta riducendo al silenzio i riformatori. È il nazionalismo che si è abbarbicato all’atomica, e fatica a negoziare su di essa. Ma l’atomica è al tempo stesso la risposta dell’Iran intero ai tanti errori di valutazione dell’Occidente e alla cecità delle amministrazioni Usa, che mai hanno capito le riforme di cui questo paese aveva bisogno (non lo capirono con il Premier Mossadeq, che spodestarono nel 1953 per tutelare lo Scià e le vie del petrolio; non lo capirono quando minacciarono Teheran nonostante al governo ci fossero riformatori come Rafsanjani o Khatami). La sfida atomica iraniana non verrà meno, il giorno in cui vincessero i riformatori. Ma almeno non sarà al servizio del più tremendo dei nazionalismi: quello che sceglie come maschera l’Apocalisse.